La scienza greca delle origini vive all’interno della riflessione filosofica e, per molti aspetti, ne condiziona gli sviluppi. Il filosofo del VI sec. a.C. indaga la natura e i suoi fenomeni e cerca di ricondurli a principi generali (il caldo, il freddo, l’aria, l’acqua, il fuoco, ecc.). L’interscambio però tra scienze naturali e speculazione filosofica prescinde però dal presupposto fondamentale della scienza moderna da Galileo in poi: la verifica sperimentale.
In greco non esiste un esatto corrispondente delle parole “scienza” e “scienziato”. Anzi si può dire che la terminologia è piuttosto incerta, a conferma dell’assenza di steccati tra i vari settori del sapere. All’interno della speculazione filosofica rimase a lungo anche l’astronomia, tanto che l’immagine popolare del filosofo Talete lo mostra intento nell’osservazione degli astri al punto da cadere in un pozzo. Ancora nel 423 a.C., nella commedia “Le nuvole”, Aristofane mette alla berlina Socrate (e con lui tutti i sofisti) rappresentandolo su un trespolo, tutto preso dall’osservazione dei fenomeni celesti e dedito al culto delle nuvole.Uno dei primi libri intitolati Astronomia lo ha scritto Esiodo, autore degli inizi del VII sec. a.C.: il suo volume si pone a completamento dell’apparente lacuna evidenziatasi nella sezione delle “Opere e i giorni” dedicata alla navigazione, ancora fino a pochi secoli fa intimamente legata alla volta celeste e agli eventi ad essa legati.
Due importanti “astronomi” furono due filosofi di Mileto: Talete ed Anassimandro. Il primo predisse un’eclissi di sole che pose fine a una battaglia tra Lidi e Medi (Erodoto, Storie 1,74); tale eclissi viene identificata fin dall’antichità con quella del 585 a.C. Il secondo, vissuto all’incirca tra il 610 e il 546 a.C., era considerato, come Talete, autore di alcune scoperte ed invenzioni: in campo astronomico gli si attribuivano le invenzioni o l’introduzione in Grecia dello gnomone (costituito da un’asta fissata in posizione verticale su un piano, l’ombra della quale indicava l’altezza e la direzione del sole, rendendo così possibile la determinazione di equinozi e solstizi, nonché la misurazione del tempo) e la costruzione dell’orologio solare. Da Eratostene, il grande scienziato di età ellenistica, sappiamo inoltre che Anassimandro per primo disegnò una carta geografica della terra abitata; formulò poi una teoria intorno alle origini della terra e dei corpi celesti proponendo un modello scientifico dell’universo secondo il quale la terra, immobile al centro del cosmo, avrebbe avuto la forma di un tronco di colonna e il sole quella della ruota di un carro. Infine, Anassimandro enunciò anche una sorta di teoria evoluzionistica, affermando che dall’umidità ebbero origine i primi esseri viventi, simili ai pesci, dai quali successivamente derivarono gli uomini.
Lo studio dell’astronomia, che univa indagine teorica e applicazione pratica (il calendario: Metóne di Atene, attivo nella seconda metà del V sec. a.C.), ricevette un impulso anche dagli inevitabili rapporti con l’astrologia. I rudimentali modelli meccanici realizzati da Anassimandro furono superati mediante l’applicazione della matematica per spiegare i moti dei corpi celesti. Il personaggio che maggiormente fece progredire l’astronomia in questa direzione fu Eudosso di Cnido (IV sec. a.C.), un filosofo dell’Accademia, che mise a frutto la tendenza platonica a trattare l’astronomia all’interno delle scienze esatte.
In Eudosso l’osservazione dei corpi celesti (è suo uno dei primi cataloghi stellari) si univa alla genialità del matematico.
Bibliografia:
O. Neugebauer, Le scienze esatte nell’Antichità, trad. it., Milano 1974.
F. Lasserre, Astronomia e filosofia nel pensiero antico, in AA.VV., Letture platoniche, “Quaderni dell’Istituto di Filosofia”, Università di Perugia, Perugia 197, pp. 95-114.